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L’industria 4.0 scende negli abissi
Robot capaci di lavorare negli oceani a mille, duemila o anche tremila metri. Negli abissi marini fanno manutenzione, installazione di impianti, stringono valvole se necessario, ed evitano ogni ostacolo sul loro cammino.
L’industria 4.0 scende sott’acqua con robot e sensori per offrire supporto ad attività svolte in condizioni estreme.
DexRov, così si chiama il progetto interuniversitario che ha dato vita ai “sub-robot”, si è concluso a Marsiglia qualche mese fa con una dimostrazione pubblica che ha messo in evidenza tutto il suo potenziale applicativo: per l’industria estrattiva oil & gas, ma anche per le installazioni di energie rinnovabili offshore. Nel loro settore i “sub 4.0” sono un’invenzione di punta, non hanno forti competitor, e sono ormai pronti a trovare il loro impiego industriale.
“Attualmente le operazioni di profondità in impianti offshore vengono realizzate da robot collegati via cavo alle navi, sotto il controllo di operatori che li guidano - spiega Andrea Caiti, docente di Robotica subacquea al Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione a Pisa e coordinatore esecutivo del progetto Crosslab. - Ma la loro mobilità (e la loro efficienza) è limitata dai tanti vincoli dell’ambiente in cui si trovano a lavorare. Occorre più intelligenza da parte dei robot per aumentare le loro prestazioni e togliere stress a coloro che li guidano.
“Il nostro robot di nuova generazione è semiautonomo. Sposta un braccio, gira una valvola in completa autonomia perché viene programmato con macroistruzioni di contesto”. Nel senso che in testa ha già il modello dell’impianto con cui ha a che fare e per metterlo in grado di agire basta fornirgli istruzioni adeguate. Per il resto ha sensori che gli fanno superare ostacoli, evitare inciampi. Se ci sono eventi improvvisi e non programmati li trasmette all’operatore e aspetta istruzioni. Ma ha anche una “sua” intelligenza di bordo che gli permette di far fronte a imprevisti e sospendere la missione se necessario. E’ in costante collegamento acustico con la superficie, ma non è necessario che l’operatore stia a distanza ravvicinata. Basta una boa, che poi comunica con una stazione remota. “In sostanza non c’è alcun bisogno di una nave d’appoggio” sottolinea Caiti. E questo a livello industriale significa sicuramente un drastico abbattimento di costi.
“Un’altra applicazione di queste tecnologie riguarda gli impianti di acquacoltura” dove è necessario un monitoraggio continuo sia dei pesci che dell’acqua in cui sono allevati. In questo caso è stato messo a punto un dispositivo in cui sensori wireless comunicano tra loro in rete acusticamente e trasmettono a terra i risultati. Il trasferimento tecnologico qui è più avanzato grazie alla collaborazione con WSense, azienda romana leader europea nel settore della comunicazione subacquea e Internet of Underwater things, con varie applicazioni fra cui l’acquacoltura.
L’attività del DII nel campo delle ricerche sulle tecnologie marine si svolge nel quadro di ISME, un consorzio interuniversitario che coinvolge nove università Italiane (www.isme.unige.it). In particolare il Dipartimento si occupa della parte relativa allo sviluppo di veicoli subacquei e all’acustica subacquea. Entro il prossimo triennio, nei laboratori Crosslab, verrà costruita una vasca per la sperimentazione di prototipi di veicoli subacquei. Partner di progetto saranno anche Mdm team, spinoff dell’università di Firenze e GraalTech di Genova.